Vega, Stella Maledetta

 

 

 

Da una spedizione sul remoto pianeta Teran, conclusasi in maniera disastrosa, i due superstiti recuperarono alcune buste di semi rari e alcune pagine di un vecchio manoscritto ingiallite dal tempo e dagli avvenimenti. Dalla traduzione di quelle poche righe, fu ricavata questa breve storia che costituisce l’unico documento a testimonianza di una attività letteraria di quelle popolazioni lontane.

 

 

L’uomo accarezzò i capelli vaporosi della sua bambina.

“Un soffio di Goran[1] lambirà le tue trecce color porpora, mia dolce bambina, e i tuoi occhi torneranno a brillare gai e spensierati per i campi seminati a flon[2]. Quando quest’ultima minaccia avrà abbandonato il nostro villaggio tutti i miei figli torneranno a sorridere e i raggi lucenti del nostro sole faranno di nuovo spuntare quei gracili steli che ci permettono di sopravvivere.”

L’uomo alzò le braccia al cielo invocando il suo sole.

“Ah Vega, maledettissima stella, questo scherzo è durato fin troppo; umiliati e avviliti preghiamo perché tu torni fra di noi.”

I pensieri di Fulff angosciavano la sua debole e tormentata anima che invano cercava di districarsi tra quella moltitudine di suggerimenti che essa stessa proponeva. L’uomo posò il bicchiere vuoto sul largo ripiano e con pochi passi si affacciò dall’uscio della sua abitazione ruotando lo sguardo in direzione delle lune gemelle di Teran: erano ancora spente! Proprio come il loro sole da quasi un anno avevano cessato di brillare nella volta celeste.

Fulff tornò a pensare alla loro bellezza, alle notti romantiche trascorse con la sua Lyhn estasiati da quel chiarore soffuso, pieno di mistero. Quale altro mondo poteva avere una tale meraviglia, due lune perfettamente uguali, che non si lasciano mai; che restano perennemente vicine sino al mese di Rulian, quando decidono… di accoppiarsi!

Si avvicinano lentamente tra di loro, il ceruleo candore si attenua leggermente e appare una luce rossastra che impedisce di distinguere i lineamenti dell’una e dell’altra: si fondono insieme come un unico essere, cedendo a tutte le terre un benefico influsso, un magico potere di fertilità.

Naturalmente ogni teraniano sa che si tratta di un effetto ottico, che le due lune innamorate ruotano l’una attorno all’altra, eclissandosi periodicamente. Ma l’effetto globale è così suggestivo e le leggende che ne offrono una spiegazione fantasiosa sono così numerose che si finisce per credere in qualcuna di esse, accettando l’irreale così com’è, noncuranti di ciò che la ragione ci vorrebbe suggerire.

Ora Fulff non poteva più ammirare le sue adorate lune gemelle, così come non aveva più bisogno di abbassare lo sguardo di fronte al suo amato sole: Vega aveva cessato di brillare, sprofondando nel buio più assoluto e portando con sé le sue due figlie.

All’improvviso ebbe una visione: migliaia di stelle lucenti si avvicinavano a Teran accendendosi di colori e folgorando gli sguardi increduli dei mercanti e dei pastori, mentre la comunità dei campi aveva preparato mille falò per accogliere le divinità celesti; il cielo era un immenso arcobaleno nella quarta dimensione: aumentava e diminuiva la propria luminosità, mutava disegni e fioccava di minuscole stelline che si dissolvevano prima di toccare terra.

E i campi di flon si estendevano per migliaia di chilometri facendo arrossire l’intero pianeta! Quel colore che tanto amava: rosso scuro, porpora, a volte con sfumature blu-viola. Gli ricordava le bellissime trecce di sua figlia Rglan che sovente scioglieva e pettinava lui stesso, teneramente…

Ripensò alla grande festa del Krlyanh, quando quei chicchi morbidi e gommosi di flon venivano immersi nel flech[3] e bolliti per ore e ore in enormi calderoni, mentre tutt’attorno si danzava e si cantava accompagnati dal suono di corni e dhint[4]… Quanto amava la voce acutissima di sua moglie che intonava una nenia popolare! E il coro del villaggio che echeggiava lontano fra mille rimbombi…

Ebbe ancora quell’eterea visione.

Mille soli erano apparsi e infuocavano tutta l’atmosfera abbagliando gli sguardi di qualunque essere vivente: il cielo era diventato rosso sangue e sembrava bollire e ribollire sprigionando vapori densi e scuri che velocemente si addensavano formando enormi nubi; ma la forza di quei mille soli era talmente grande che riuscirono a squarciare le spesse nuvole tornando a dominare prepotentemente su Teran.

Il chiarore stava continuamente crescendo e ormai la gente non riusciva a sfuggirvi neppure tenendo ben chiusi gli occhi, quando all’improvviso il cielo fu squarciato da una saetta nera: le tenebre minacciavano una propria rivincita.

Centinaia di fulmini scuri cominciarono a fendere quel mare di luminosità e lampi di buio si riversarono sui campi di flon. L’angelo della notte sopraggiunse eliminando gli ultimi riflessi di luce ribelle e improvvisamente, così com’era venuta, la visione scomparve.

Fulff era tornato a guardare il suo bicchiere. Ora era colmo di vacum[5] quasi fino all’orlo. Ne bevve un lungo sorso sentendosi riscaldare la gola.

Come mai Teran non era sprofondata nel bel mezzo di un’era glaciale? Era semplicemente assurdo: negli ultimi sei mesi la temperatura non era variata quasi per niente. Avrebbero dovuto esserci tre differenti stagioni: il krendal, il mylvat[6], il sihng. Invece tutto si era fermato in una fase intermedia, né troppo calda né troppo fredda; ma i raccolti erano andati distrutti, le piante ad alto fusto cominciavano a dare segni di deperimento, la sorte dell’intero pianeta era nelle mani del destino e quella maledettissima stella Vega non accennava a tornare ridente e radiosa come prima.

Cosa diavolo poteva essere successo?

Non c’erano state esplosioni, né fenomeni violenti che potevano far pensare ad una sua distruzione. Non era possibile che le reazioni termonucleari fossero cessate in maniera naturale: era stato calcolato che una stella di quelle dimensioni avrebbe dovuto brillare per milioni di anni ancora.

Dietro a tutta questa storia si celava qualcosa di oscuro e incomprensibile; se si continuava di questo passo, il destino di Teran era irrimediabilmente segnato.

Fulff si avvicinò lentamente al letto di sua figlia. Rglan dormiva. Dolcemente posò la sua mano su quelle trecce color porpora e le accarezzò delicatamente.

In cuor suo Fulff aveva un grandissimo terrore: che anche Rglan si potesse ammalare come tante sue compagne. I raggi dell’amata stella Vega servivano alla loro sopravvivenza più di quanto si potesse credere ed i primi a pagarne le conseguenze erano i più deboli ed indifesi.

Fulff fu interrotto da un grande baccano che proveniva dall’esterno dell’abitazione. Aveva notato che qualcosa stava cambiando, ma non riusciva a capire cosa fosse. Rglan fu svegliata da quei rumori ed insieme al padre uscì all’aperto per vedere cosa stesse succedendo.

La gente calpestava come impazzita quei campi riarsi distruggendo quel po’ di flon che era riuscito a sopravvivere, ma Fulff non ci fece neppure caso. In alto, come una dea che finalmente si era svegliata da un lungo sonno, la stella Vega sbadigliò qualche lampo di luce qua e là, poi come se nulla fosse accaduto si decise a riprendere la sua normale attività e tutti i teraniani all’unisono abbassarono gli sguardi, accecati dall’immenso chiarore di cui per quasi un intero anno avevano fatto a meno.

Nessuno può immaginare la gioia che quell’evento ormai insperato portava a tutto quel popolo! E come avrebbero potuto dimenticare  quella prima serata, quando dai monti orientali videro sorgere due affascinanti danzatrici.

L’affetto che la gente provava per le due lune gemelle del suo pianeta era davvero grande! Quelle due splendide e instancabili perle che perennemente volavano e non si fermavano mai erano tornate a riempire i loro cuori e avrebbero continuato ad apparire nelle pagine dei poeti per chissà quanto tempo ancora. Chissà come avevano trascorso questo lungo anno di tenebre? Si erano forse riposate, avevano recuperato tutte le loro forze per donare ancora una volta la loro bellezza, la loro eleganza e il loro splendore di dee!

 

 

                                                                       (2)

 

Il tunnel avrebbe potuto contenere dieci metropoli, tanto grande era lo spazio che occupava. Enormi macchinari si estendevano per centinaia di chilometri e pervadevano lo spazio con il loro rumoreggiare confuso. L’astrocargo volò sopra alcune apparecchiature e dalla sua sommità il direttore degli automatismi metabolici dava gli ordini parlando al suo microfono:

“Disinserire gli operatori d’innalzamento.

Innescare le reazioni di autocompensazione.

Intervenire sul flusso magnetico generale.

Controllare la temperatura!

RIPETO: CONTROLLARE LA TEMPERATURA!”

I tecnici lavoravano senza sosta, salivano e scendevano dai carrelli automatici, percorrevano i tunnel secondari per mezzo di velocissime scale mobili, ruotavano manopole e tiravano leve di complicatissimi congegni.

All’improvviso suonò il segnale verde: era arrivato l’Ufficiale di controllo.

Il direttore degli automatismi metabolici era estremamente nervoso, avrebbe dovuto rispondere a tutte quelle domande e sperava di essere all’altezza della situazione. Fece atterrare l’astrocargo sulla pista riservata ai dirigenti e aspettò l’arrivo dell’altra navetta. Quando le luci verdi si spensero e l’eco rimbombante si affievolì fino all’esaurimento, allora le porte della parete centrale si aprirono solennemente, lasciando entrare l’astrocargo imperiale che fece scendere i due passeggeri. Tutti i tecnici si chiesero chi fosse l’uomo che accompagnava l’Ufficiale di controllo e il direttore degli automatismi metabolici fu colto da timori ancora più profondi.

“Chi è il Capo Direzione?”, fece l’Ufficiale di controllo.

“Io, signore.”, rispose un tizio dall’aria intelligente.

“Avete provveduto affinché siano riparati i motori iperatomici?”

“I lavori sono terminati ieri, signore.”

L’uomo che accompagnava l’Ufficiale di controllo sgranò gli occhi, poi esclamò:

“Di già?”

“Sì, signore.”, fece il tecnico, “I flussi magnetici sono stati rimessi in funzione.”

“Signor direttore degli automatismi metabolici …”, tuonò l’Ufficiale di controllo.

L’uomo fu preso da un sussulto.

“Sì, …signore.”

“Può dirci cosa effettivamente è successo?”

“Ecco, …dunque, i canali di raccoglimento della tensione generale hanno ricevuto un sovraccarico e …”

“In parole povere?”, chiese l’accompagnatore.

“Beh,… è venuta a mancare l’energia elettrica.”

“Vorreste dire che una stella come Vega ha cessato di brillare per quasi un anno per una semplice interruzione di corrente?”

“Non direi semplice, signore. La tecnologia di cui disponiamo, per sfruttare le enormi reazioni che avvengono nelle stelle, è piuttosto complessa. Comunque le assicuro che siamo assolutamente in grado di controllare il funzionamento della centrale e che l’erogazione di corrente per tutti i pianeti della federazione continuerà per sempre come in passato.”

L’uomo fissò per qualche attimo il ciclopico tunnel che li sovrastava.

Venga non cesserà più di brillare.          

 

 

 



[1] Non esistendo vocali nella lingua scritta teraniana, ne sono stati riportati i vocaboli così come vengono pronunciati per renderli più accessibili. Il Goran è un vento proveniente da ovest. (N.d.T.)

[2] Graminacea simile al grano.

[3] Mistura ricavata da erbe, bevanda d’obbligo durante la festa del Krlyanh.

[4] Strumenti a fiato molto simili a flauti.

[5] Vino a base di frutta.

[6] Su Teran le stagioni sono sei e corrispondono a fondamentali cicli biologici.